Patanjali nel suo ormai citatissimo Yogasutra ci ricorda che yoga è abhyasa, esercizio ripetuto e costante, uno sforzo persistente per “dominare e controllare” le diverse attività mentali. L’Hata Yoga Pradipika afferma con decisione che il successo nello yoga si ottiene soltanto attraverso la pratica e la Bagavad Gita considera abhyasa uno dei requisiti essenziali della disciplina dello Yoga.
Byung-Chul Han, filosofo e scrittore nato a Seul e oggi residente in Germania nel suo libro “La scomparsa dei riti” scrive:” le ripetizioni stabilizzano e acuiscono l’attenzione (…) La ripetizione come riconoscimento è quindi compattante: il passato e il presente vengono compattati in un presente vivo. In quanto tale, essa stimola la durata e l’intensità, fa sì che il tempo indugi”. Ripetere aiuta a stare, ci riporta al luogo in cui siamo. Ripetere trasforma il gesto in rituale, crea uno spazio sacro in cui l’azione non è più “nostra” ma diviene patrimonio collettivo, divine azione condivisa. Ritualizzare un’azione, farne una pratica, vuol dire in un certo senso universalizzarla, renderla qualcosa che non ci appartiene ma che ci attraversa. L’azione si svolge secondo uno schema stabilito, che non abbiamo scelto noi, uno schema che non ci appartiene ma a cui scegliamo di appartenere. Non facciamo ciò che ci piace, ciò che “ci fa stare bene” facciamo ciò che il rituale chiede. Viviamo in una società estremamente individualizzata: Sii ciò che desideri, fai ciò che senti, sii te stesso. Siamo costantemente invitati a ricercare il piacere. Il rituale, al contrario, riporta al dovere, ad una dimensione collettiva: ti chiede di fare ciò che devi, ogni giorno anche se sei stanco, non ne hai voglia, sei demotivato. È molto interessante questa parte della pratica, perché ho scoperto nel tempo, essere, forse, il gradino più difficile da superare e ciò che fa veramente la differenza.
Leggo spesso molti articoli che offrono consigli su come rendere quotidiana la pratica: crearsi un posto piacevole dove srotolare il tappetino o posizionare il cuscino da meditazione, tenerlo in ordine e curato, scegliere sempre uno stesso orario e calendarizzarlo nei nostri impegni. Tutto questo serve, certo , ma sarà vano se mentalmente non entriamo nell'idea che sarà cmq faticoso. Semplicemente a volte non è piacevole! Svegliarsi 1 ora prima per meditare è FATICOSO. Uscire da lavoro e fermarsi per un aperitivo nel nostro bar preferito è sicuramente più piacevole che chiudersi in casa e farsi un’ora di asana da soli, sbagliando, cadendo, sudando. Ci sono volte in cui quello sforzo è ripagato da una grande soddisfazione, un incredibile senso di fluidità e libertà nel corpo e nel respiro, uno shavasana di assoluto riposo, un profondo senso di pace, altre volte è principalmente fatica.
Ciò che posso dirvi è che col tempo “la fatica “diminuisce. Lo sforzo viene percepito come calore, diviene esso stesso profondo appagamento e ciò che ci guida verso il tappetino è sempre più un desiderio ardente di "stare" nella pratica, di riappropriarci del suono del nostro respiro, di quello sforzo sano e vitale che ci riconduce alla nostra essenza più vera e profonda. Quel continuo ripetere rende le azioni più spontanee, apre uno varco alla nostra mente intuitiva, alle nostre capacità percettive, ci rende più sensibili, più attenti, ci libera del nostro io ciarliero e ingombrante per condurci con sempre maggior facilità, nello spazio profondo della pratica stessa. Diveniamo la pratica.
Ci sono, comunque, tanti i momenti nella vita che ci allontanano dalla pratica formale e non ha senso farsene una colpa. Dimentichiamo instagram e ogni ideale di praticante. Si pratica yoga nella vita e il calderone in cui siamo immersi è complicato per tutti.
Non mi ricordo dove ho letto che ciò che impariamo durante la pratica yoga non va mai perso, mi è sembrata una grande verità. Se per un certo periodo il cuscino da meditazione rimane vuoto accanto al nostro letto, le ore che fino ad allora abbiamo passato sedendovi sopra non si vanificano, rimangono nel nostro cuore, nella nostra memoria e ci riporteranno alla pratica nel momento opportuno.
Il mio consiglio è non abbandonate il pensiero della pratica”. Concedetevi piccoli momenti anche quando siete davvero troppo incasinati per essere costanti: due minuti di respiro consapevole prima di dormire, qualche momento di consapevolezza corporea tra una riunione e l’altra, allungando la colonna con calma, espandendo il petto con pochi e semplici gesti delle spalle. Fate si che la pratica yoga sia nel vostro cuore come un caro, schietto e vero amico che non vedete da tempo, prima o poi tornerete a trovarlo, perché sapete che vi sostiene, vi da energia e vi aiuta ad avere una visione più chiara e lucida della vita.
Le cose “vere “non sono sempre piacevoli, sono vere! Quando diveniamo consapevoli di questo non cerchiamo più il benessere, cerchiamo l’essere e lo sforzo è parte integrante della vita vera.
BUONA PRATICA YOGI
La newsletter di yoga lover vuol essere uno strumento attraverso il quale donarvi approfondimenti e ulteriori contenuti legate ai corsi e ai temi trattati nel blog o emersi nei miei studi e nella mia pratica personale; parlarvi di cucina, uno dei miei argomenti preferiti, di libri, di ayurveda e di stili di vita e informarvi su workshop e collaborazioni che organizzo sia on line, sia, quando tornerà ad essere possibile, nella mia amata maremma. Uno spazio per avvicinarci e sentirci parte di uno stesso viaggio.