Scritto da Patanjali è composto da 196 aforismi: versetti brevi la cui funzione era di poter consentire una facile e veloce memorizzazione del testo.
Si tratta a tutti gli effetti di un manuale che si rivolge ai praticanti , agli “addetti ai lavori” e sembra voler tirare le righe dei vari testi e delle varie opinioni che circolavano al suo tempo. Espone un percorso diviso in otto anga, membra, otto passaggi, uno propedeutico all’altro, descrivendone i contenuti e gli esercizi di pratica. Yogasutra disegna la pratica del cosiddetto yoga classico o raja yoga.
Lo yoga che pratichiamo solitamente nelle shale moderne appartiene alla tradizione dello hata yoga, un percorso che mira allo stesso obbiettivo ma che ha basi filosofiche diverse,si esprime attraverso tecniche in parte diverse e appartiene ad un periodo storico sicuramente più moderno. ( i testi più importanti a cui la pratica fa riferimento sono datati intorno a XI-XII sec d, C. circa)
Ne esistono veramente numerose traduzioni e interpretazioni e questo dimostra la complessità ma anche l’immensa ricchezza dei contenuti. Per quanto mi riguarda l’approccio personale al testo è stato inutile fintanto non ho partecipato a seminari che me ne hanno permessa la comprensione almeno generale. Ad oggi lo studio ancora, sia da sola sia con vari maestri e come tutti i testi dello yoga mi stupisco della immensa mole di significati e insegnamenti ne traggo ogni volga.
Il versetto 46 del II pada è sicuramente uno dei più conosciuti e citati.
Facciamo innanzitutto una premessa: Patanjali dedica alla postura del corpo pochi versetti. Il percorso da lui illustrato è prettamente meditativo, quindi seduto. Le posture del corpo a cui Patanjali si riferisce sono probabilmente padmasana, forse baddha konasana o vjrasana ma non intendeva certo descrivere asana complessi come pincha mayurasana o nessuna di quelle posture moderne che conducono il corpo verso meravigliosi ma a volte improbabili intrecci.
Il versetto però, può benissimo essere ricondotto all’interno della tradizione dello hata yoga e offrirci numerosi spunti di riflessione. Dire ad un principiante, dopo averlo condotto con minuziose indicazioni in una postura per lui nuova e complessa, che attraverso il respiro e la pratica, può imparare a condurre il corpo in una dimensione di agio e stabilità, nonostante la fatica, spesso suscita perplessità. Eppure è cosi ed è facilmente sperimentabile se procediamo con costanza nel cammino intrapreso.
Il versetto vuole ricordarci che le posture yoga prima di tutto sono uno spazio di ascolto profondo e quindi di grande attenzione e presenza. Questa capacità di rimanere concentrati nel momento presente ci consente di accogliere la postura con grande rispetto verso il corpo, conducendoci in un dialogo col nostro limite che è sempre, costantemente attivo.
Impariamo a modificare, aggiustare la postura pratica dopo pratica, respiro dopo respiro, a comprendere quando possiamo chiedere al nostro corpo un millimetro di spazio in più o quando al contrario ha bisogno “stare”. di rimanere in quello spazio perchè non ancora pronto a spingersi oltre. Impariamo a riconoscere la bellezza di ogni piccolo gesto, di ogni forma , a vivere corpo come un luogo di infinite sensazioni, di molti paesaggi, di innumerevoli racconti.
Oggi siamo sempre molto affascinati dalle posture yoga più complesse e acrobatiche quasi a dimenticare il valore alla base del lavoro sul corpo e della pratica in generale : creare uno spazio di ascolto profondo e di profonda gratitudine.
La finalità principale degli yogasana , da un punto di vista fisico, è creare una struttura muscolare libera ed elastica che supporti i processi respiratori, espandendo la cassa toracica e sostenendo la colonna nella sua verticalità ma non solo.
Vogliamo educarci all’attenzione. al rimanere in ascolto del corpo e dei processi mentali che si attivano durante la pratica e vogliamo imparare a riconoscerne il valore e la bellezza.
Il fatto di approfondire il lavoro sul corpo è legato all’approfondimento del lavoro sull’ascolto e del saper rimanere collegati al proprio respiro, mantenendolo fluido e regolare nonostante la fatica. Questa capacità ci consente un riconoscimento con noi stessi, con i nostri limiti ma anche con le infinite capacità percettive, sensoriale, energetiche che il corpo contiene e sempre ci regala.
Gli asana più complessi rispondono all’esigenza di continuare a stimolare l’attenzione via via che il corpo acquisisce dimestichezza e libertà, a farci uscire dalla nostra zona di comfort per permetterci di esplorare nuovi territori percettivi e necessariamente si sposta con l’accrescere delle nostre competenze. Sarebbe come continuare a studiare materie di prima media per tutta la vita.
Dobbiamo ricordarci che la pratica yoga implica una disciplina, è una pratica appunto, quindi uno studio ripetuto nel tempo e proseguito con pazienza e dedizione. Si muove all’interno di una sadhana, di un percorso progressivo di studio di se’ che muove dal più semplice al più complesso, e riguarda molti aspetti del nostro essere.
Paratico da anni e alcuni asana ancora non hanno raggiunto la forma descritta nei manuali, forse non la raggiungeranno mai, ma non è questo l’obbiettivo. vi dirò di più credo profondamente che l’obbiettivo non ci sia, perchè ricercarlo è un’attività mentale e la pratica è al contrario un attività del cuore.
La newsletter di yoga lover vuol essere uno strumento attraverso il quale donarvi approfondimenti e ulteriori contenuti legate ai corsi e ai temi trattati nel blog o emersi nei miei studi e nella mia pratica personale; parlarvi di cucina, uno dei miei argomenti preferiti, di libri, di ayurveda e di stili di vita e informarvi su workshop e collaborazioni che organizzo sia on line, sia, quando tornerà ad essere possibile, nella mia amata maremma. Uno spazio per avvicinarci e sentirci parte di uno stesso viaggio.